Lo stallo esistenziale in una transizione

 Ci capita di soffrire per lo stallo esistenziale di qualcuno con cui siamo connessi nel profondo: è una sofferenza diversa da quella che si prova se una persona cara è ammalata, è qualcosa di più sottile che non so qualificare, parla della difficoltà di una connessione, di un fluire vibrazionale reso difficoltoso da un 'attrito'.

Riflettevo oggi sul nostro (comunità del Sentiero) prendere consapevolezza di essere parte di una stessa isola akasica, una consapevolezza che ancora stenta a maturare e ad arricchirsi di quella intenzione, pensiero, affettività, azione necessari quando la si riconosce nei giorni del divenire.

Dopo il diverso posizionamento del fondatore, sembra che ancora non sorga chiarezza, eppure quello scostamento di lato voleva proprio che maturasse una maggiore chiarezza sulla propria vocazione, sulle implicazioni della Via.

Ogni condizione è favorevole, sovrabbondanti sono i doni, eppure c'è una certa difficoltà nel trovare il proprio personale posto nel nuovo ordine, in questa tribuna in cui non ci si può più nascondere dietro la figura di riferimento.

Quando si tratta di divenire veramente artefici, ci si smarrisce perché non si comprende bene come articolarla questa personale manifestazione?
E perché non si chiede, non si interpella chi vede più chiaro? Avendo ben evidente che non c'è una risposta generale, ma una per ciascuno.

 


Commenti

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  2. "E perché non si chiede, non si interpella chi vede più chiaro?". Quell'interpellare significa dar vita a un processo, a nuove scene e dunque a nuove possibilità di comprensioni. I motivi per cui ci si sottrae sono dei più vari: dalla paura, da una mancanza di comprensione, dal non sentirsi all'altezza o pronti.

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